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LA RESILIENZA DEL BOSCO
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Siamo abituati a pensare che le foreste siano statiche, che stiano lì,
immobili, da sempre. Ma non è così. Semplicemente vivono, e cambiano, a
un ritmo più lento del nostro. C'è, tuttavia, un momento in cui abbiamo
la possibilità di apprezzarne il cambiamento, e, ironia della sorte, è
proprio quando vi si abbatte una calamità o, come si dice in ecologia,
un «disturbo». Che sia un incendio, un'alluvione, un'eruzione, ciò che
segue non è l'estinzione totale. Al contrario. Disturbi di questo tipo
sconvolgono un ecosistema, ma al tempo stesso aprono la strada a nuove
specie animali e vegetali. Come le orchidee, ad esempio, che muoiono
all'ombra fitta degli alberi, ma proliferano nei terreni aperti e
assolati. O come le aquile, che battono le foreste disastrate perché,
senza gli alberi, godono di maggiore visibilità sulle prede a terra. Ed è
proprio questa capacità di adattamento, questa naturale resilienza, ad
accumunare i boschi e le foreste che Vacchiano ha incontrato durante la
sua attività di ricerca e i suoi viaggi, e che racconta in queste
pagine. Una resilienza acquisita grazie a milioni di anni di lenta
evoluzione, che però potrebbe non bastare di fronte alle pressioni e ai
cambiamenti estremamente repentini a cui stiamo sottoponendo la nostra
casa comune da un secolo a questa parte. E quindi? Vacchiano indica una
strada. Dal parco nazionale di Yellowstone negli Stati Uniti alla
foresta pluviale delle isole Haida Gwaii nell'Oceano Pacifico, fino alla
piemontese Val Sessera, ogni bosco rivela storie di connessioni: tra
alberi e alberi, tra alberi e animali, tra alberi e acqua, o aria, o
fuoco. Tra alberi e uomini. E anche, tra uomini e uomini. Dimostrando
quanto siamo immersi negli ecosistemi che ci danno la vita. Siamo in
relazione con ogni loro elemento. Che ne siamo consapevoli o meno, noi
siamo una loro causa e un loro effetto.